PIOVONO PIETRE di Ken Loach | #KenLoachReviewed

Continua il percorso del Cineclub Bellinzona Bologna nella filmografia di KEN LOACH. Giovedì 7 novembre, alle ore 20:45, è la volta di un film simbolo della poetica e della carriera del regista britannico: PIOVONO PIETRE (Raining stones).

PIOVONO PIETRE – Raining stones
di Ken Loach | UK | 1993 | 91’
vers. originale, sott. italiano
biglietto unico: €6,00
Introduce: Dario Marino (Coordinatore della comunicazione delle Cucine Popolari)

‘Raining Stones’ racconta la storia della piccola Coleen che sta per fare la prima comunione; suo padre Bob, fervente cattolico e disoccupato, vorrebbe regalarle un vestito per l’occasione, ma ha grosse difficoltà a mettere insieme i soldi necessari all’acquisto. racconta così le sue interminabili peripezie per raggiungere l’agognato obiettivo e ritrovare la sua dignità di uomo e di padre. Premio speciale della giuria al Festival di Cannes, ‘Raining Stones’ è uno dei lungometraggi che ha consacrato definitivamente al successo internazionale Loach, uno dei registi più “politici” della scena cinematografica, narratore realista di storie che hanno come protagonisti proletari e sottoproletari, diseredati e vittime di ingiustizie sociali. ‘Raining Stones’, con tocchi anche di grande ironia, partendo da un pretesto minimale, diventa un formidabile affresco non solo della città operaia di Manchester (dove il film è ambientato), ma – più in generale – della condizione umana contemporanea.

«Sulla classe operaia piovono pietre sette giorni su sette», sentenzia con amarezza il suocero del protagonista, incitandolo altresì a non lasciarsi intrappolare dalle dottrine dei preti che leniscono le ferite dei poveri con le preghiere e la prospettiva di una vita eterna migliore di questa. In altre parole mettono oppio nel turibolo. Ma Loach, con uno scarto di prospettiva forse unico nella sua carriera – e tale da sconcertare non pochi critici – non solo mostra un prete solidale con i disoccupati: va oltre, e si avvicina al cristianesimo nella sua natura più profonda e mistica, realizzando un film che è una sorta di riflessione sull’Eucaristia. Non soltanto quella ufficiale della bambina che si prepara alla prima comunione senza forse aver capito un granché (all’inizio ripete a pappagallo le regole per la cerimonia; nel colloquio col padre dice preoccupata: «io non voglio bere il sangue di Cristo»), ma un’Eucaristia che si incarna nel vissuto dei povericristi senza lavoro che non sanno come tirare avanti nell’Inghilterra post- thatcheriana.

Molti osservatori si sono concentrati unicamente sul vestito nuovo della bambina, cui il padre tiene in modo esagerato. Persino il prete lo invita a non buttar via i soldi per queste cose, facendogli presente che i borghesi spendono molto meno di quanto voglia far lui. «I borghesi hanno vestiti nuovi tutti i giorni», è la replica di Bob, mentre ai poveri è dato di vivere la festa un solo giorno nella vita. Per cui giù a svuotare fogne e a rubare manti erbosi, fino a cadere nelle mani degli strozzini più implacabili. Ma questo è il côté sociale del film, quello per cui Loach è fin troppo celebre.

Esiste però un altro percorso che fa di Piovono pietre uno dei film più autenticamente religiosi degli ultimi anni, tale da essere letto come una sorta di calvario proletario, una sacra rappresentazione inconsapevole in cui si ripete oggi il sacrificio di Cristo. Non solo il racconto si apre con un montone “sacrificale” che non vuole nessuno (tutti mangiano l’agnello: il montone diventa così una vittima rituale “disoccupata”, come i protagonisti), ma si chiude con Bob che riceve l’Eucaristia mentre la polizia – miracolo! – per una volta non lo perseguita, e va cercarlo per restituirgli il furgoncino rubato. Quell’Eucaristia l’abbiamo vista consacrare per ben due volte nel film: l’ultima è quella liturgica, compiuta dal prete durante la messa; la prima, invece (e questo è il vertice spirituale della pellicola), avviene proprio da parte di Bob, mentre cerca di spiegare alla figlia il senso dell’ultima cena.

Sono a tavola, hanno appena mangiato fagioli e Bob prende in mano un pezzo di pane, poi un bicchiere di birra, e ripete, inceppandosi e imprecando, le parole di Gesù: «Questo è il mio corpo… questo è il mio sangue…». È una catechesi rozza, improvvisata e confusa, ma che tocca il centro dell’annuncio cristiano: l’incarnazione. Bob in quel momento è Cristo, è il sacerdote e la vittima nello stesso tempo, è colui che scenderà negli inferi della disperazione, ma è anche l’uomo che risorgerà, dopo aver sconfitto il maligno. Nessuna deroga a una prospettiva di lotta di classe da parte di Loach: la preghiera da sola non porta il pane in tavola, questo è detto con chiarezza. Ma forse c’è la scoperta che in chiesa, oltre ai preti reazionari o progressisti, si trova anche un pane grazie al quale la classe operaia potrà andare davvero in paradiso.» – Marco Vanelli – Ken Loach. Un cineasta di classe, a cura di Gabriele Rizza, Giovanni Maria Rossi, Chiara Tognolotti – Edizioni Aida, Firenze 2004, pp. 117-119

CINEMA TEATRO BELLINZONA
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